Nel Medioevo Pisa, coi suoi quarantamila abitanti e la vasta rete dei suoi traffici, era una delle grandi metropoli europee. Quantunque ferita a causa delle sconfitte subite per mare e indebolita, la repubblica pisana riuscì a mantenersi indipendente fino al 1406, quando fu incorporata nel dominio fiorentino, e poi successivamente, dal XVI secolo, in quello del Granducato di Toscana. La crisi secolare - da cui Pisa si riprese parzialmente nel Cinquecento, fra l'altro con la fondazione dell'Ordine militare di Santo Stefano - e le distruzioni belliche hanno inferto gravi danni al tessuto urbanistico del centro della città, e dunque anche al suo patrimonio araldico, che dovette essere cospicuo a giudicare da ciò che ne rimane nei cicli monumentali superstiti, come il Camposanto e la Chiesa di San Francesco. Dell'araldica del ceto dirigente pisano, che dovette sommare fra '300 e '400 almeno ad un migliaio di famiglie, rimangono, oltre alle vestigia iconografiche, varie fonti manoscritte, che tuttavia sono poco note e utilizzate. Lo stemmario seicentesco che qui si presenta, appartenuto originariamente alla nobile famiglia pisana dei Galletti, va a colmare questa lacuna, trattandosi del primo repertorio di questo genere edito in originale: esso comprende oltre 400 stemmi, dipinti con eleganza, relativi a una metà delle famiglie attestate in epoca medievale ed altre casate affermatesi tra il '400 ed il '600 sotto il dominio di Firenze. L'antico compilatore dello stemmario attinse a fonti originali, come i monumenti sepolcrali o i palazzi aristocratici, e nell'insieme fornisce un quadro molto ampio dell'araldica pisana, mettendone in rilievo i caratteri di fondo, che consistono in una notevole semplicità e arcaicità delle figure e della sintassi degli scudi. L'araldica pisana, sia 'nobile' che 'popolare' si conferma, come tutta quella delle città comunali italiane, fenomeno assai diffuso e di qualità stilistica non inferiore a quella della grande araldica gentilizia continentale. La riproduzione integrale a colori dello stemmario è accompagnato da saggi di Alma Poloni, Laura Cirri ed Alessandro Savorelli, dalla blasonatura a cura di Carlo Maspoli, e da un apparato critico che implica sistematici raffronti col corpus delle altre fonti iconografiche e manoscritte.